Asceti e rinuncianti nel regno Magadha

Nello scorso articolo siamo rimasti ai testi Vedici portati dal popolo Ārya, dove appare per la prima volta il termine Yoga, e alle figure emergenti nell’ambito religioso e spirituale, figure che già allora praticavano forme di ascetismo e tecniche di respirazione.

Siamo tra il VII  e il III secolo a.C., nel regno Magadha, la seconda urbanizzazione dell’india.

In questo periodo storico si assiste ad una grande prosperità per i popoli che abitano nella pianura Gangetica.
Questa prosperità e abbondanza permette l’emergere di figure come  gli asceti rinuncianti, śramaṇa, (dal sanscrito «coloro che si esercitano») e dei sacerdoti vedici brāhmaṇa.

Questi sacerdoti provengono dal sistema vedico ortodosso, gli asceti rinuncianti invece sorgono da un contesto extra vedico, anche se profondamente influenzato da quest’ultimo.
 
Sono questi asceti rinuncianti, śramaṇa, a dare origine a correnti filosofiche/religiose come il Jainismo e il Buddhismo.
Queste nuove tradizioni contribuirono anche nello sviluppare tecniche di meditazione e di disciplina del corpo e della mente.

Ed è proprio da qui che sorgono dottrine fondamentali che poi diverranno le basi del pensiero religioso e filosofico indiano.

I  nuovi concetti chiave sono il karma (o meglio: karman, l’azione, la legge di causa/effetto), il saṃsāra (il ciclo delle rinascite) e il mokṣa, il nirvāṇa (la liberazione).
La domanda fondamentale diventa come liberarsi dal ciclo delle rinascite (saṃsāra) attraverso l’azione (karman) per ottenere la liberazione (mokṣa o nirvāṇa).

 

Tale concezione (assente nella letteratura vedica più antica) compare per la prima volta nelle Upaniṣad, la cui composizione avvenne  tra VIII e III secolo a.C.
Questi nuovi testi verranno poco a poco assimilati nel mondo vedico-brahmanico, diventando le basi di quello che ora definiamo largamente come Hinduismo.

Nonostante i concetti chiave in comune, ci sono notevoli differenze tra questi gruppi; ad esempio nel Giainismo si enfatizza una estrema concezione del karma che porta a pratiche di non-azione radicali, nel Buddhismo invece si sviluppano tecniche di meditazione e respirazione.

Da questo momento in poi, il termine yoga, inizia ad assumere un nuovo significato.

Abbiamo visto che nei Veda originariamente il termine Yoga significava aggiogare, dal sanscrito “Yug”, riferito all’aggiogare  buoi o cavalli ai carri.

Da questo periodo storico, tutte le pratiche di questi sacerdoti e asceti, confluiscono nel termine Yoga, l’atto di aggiogare viene rivolto alla mente.

Qui il termine Yoga rappresenta il Metodo per raggiungere la liberazione, oppure si riferisce all’unione stessa dell’individuo con la liberazione/il divino.
Lo yoga dunque rappresenta sia la pratica sia il risultato della
pratica.

Nella prossimo articolo vedremo l’evoluzione del termine Yoga attraverso testi come il Mahābhārata e la Bhagavadgītā, fino a raggiungere gli Yoga Sutra di Patanjali.

Grazie per la lettura.
Diego