Nel articolo precedente abbiamo visto come i Tantra hanno portato diversi contributi nella storia dello Yoga; dai mantra al corpo yogico, attraverso diverse pratiche e discipline, questi testi hanno influito concretamente nello sviluppare questo metodo per raggiungere la tanto ambita liberazione.
Siamo tra l’XI e il XV secolo, nel medioevo indiano, in questo periodo nasce una nuova corrente, l’ Hatha yoga.
Intorno al 1400, Svātmārāma compone l’ Haṭhayoga Pradīpikā, il testo più antico di questa corrente yoga che, insieme a testi come la Gheraṇḍa Saṃhitā e alla Śiva Saṃhitā, guida una nuova generazione di maestri.
L’hatha yoga, chiamato anche yoga della forza, si sviluppa dalle radici ben consolidate degli yogasutra di Patanjali, dalle credenze e pratiche buddiste e dalle tradizioni tantriche.
Gli aforismi di patanjali insieme al Samkya strutturano la filosofia di questo nuovo metodo, i mantra e il corpo yogico dei tantra contribuiscono nell’edificare le pratiche, invece il buddismo porta profonde tecniche di meditazione.
La differenza sostanziale nello Hatha yoga è una componente fisica più intensa, volta a portare una notevole trasformazione nell’adepto sia fisisica sia mentale.
Viene appunto chiamato anche yoga della forza, proprio perché la componente degli Asana (presente negli 8 passi dello Raja yoga di Patanjali) assume un significato più intenso.
Fino a questo periodo storico, Āsana (la corretta posizione, comoda e immobile) si riferisce prevalentemente alla posizione classica di meditazione, seduta a gambe incrociate.
L’Haṭhayoga Pradīpikā presenta 15 posizioni, alcune complesse e richiedenti un notevole sforzo, sempre strutturate per permettere al praticante di canalizzare le proprie energie, anche attraverso le visualizzazioni e i mantra delle pratiche Tantriche.
Oltre alle Āsana, anche il Pranayama (per patanjali inteso come controllo delle energie) trova un’ulteriore ruolo; dopo aver esposto le Āsana, Svātmārāma presenta al praticante il pranayama, specificando che, dopo il raggiungimento della posizione perfetta, il respiro gioca un ruolo fondamentale per acquietare le turbe della mente; nelle pratiche trovano spazio lunghe pause a polmoni pieni e vuoti (kumbhaka), pratiche eseguite ancora oggi come la respirazione a narici alternate (Nadi Shodan), la respirazione del teschio brillante (Kapalabhati), la respirazione del fuoco (Bhastrika) e molte altre che nel loro insieme rappresentano le tecniche di purificazione.
Troviamo infatti nello Haṭhayoga Pradīpikā un forte senso di purificazione del corpo e della mente per entrare in uno stato di consapevolezza volto a facilitare lo stato meditativo.
Anche le antiche pratiche ascetiche, Tapas, degli asceti rinuncianti menzionati nelle prime puntate, ritrovano un loro spazio.
Quello che porta lo Hathayoga popolare nella sua epoca, a tal punto da arrivare a noi quasi del tutto invariato, è aver sostostenuto esplicitamente che questo metodo può essere praticato da tutti indipendentemente dal sesso, dalla casta o dal credo
religioso; anche se le origini di questi testi risalgono ad ambienti religiosi e settari, molti sostengono che questa serie di tecniche sia sufficiente per raggiungere la liberazione e che l’appartenenza a qualunque credo religioso o visione filosofica non hanno alcuna importanza.
Questa mancanza di connotazioni settarie permette allo Hatha yoga di diffondersi ed essere adottato in moltissime tradizioni.
Nel prossimo articolo vedremo come lo yoga è si è evoluto negli ultimi secoli, fino ad arrivare alle pratiche che in molti facciamo sul tappetino.
Grazie per la lettura.
Diego

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In questa sesta puntata vediamo com Svātmārāma nel medioevo indiano cambia radicalmente la storia dello Yoga grazie al suo Haṭhayoga Pradīpikā.
