Patañjali e gli Yoga Sūtra

Nello scorso articolo, attraverso il Mahābhārata,  la Bhagavadgītā e Sāṃkhyā, siamo arrivati a Patanjali e i suoi yoga sutra.

Siamo tra il  325 e il 425 d. C., la figura di Patanjali rimane avvolta nel mistero, spesso erroneamente confuso con un suo omonimo grammatico di qualche secolo prima.

Plausibilmente il contenuto degli yoga stura era tramandato oralmente da molto tempo, Patanjali però fu il primo a sistematizzare e codificare concretamente queste tradizioni mistiche attraverso degli aforismi, in un vero e proprio sistema filosofico.

Lo yogasutra è composto da 196 aforismi, in sanscrito sutra, divisi in quattro Pada.

Qui Patanjali derscive il percorso dello yogi attraverso gli 8 passi dello Aṣṭāṅga Yoga:

Yama, le regole di comportamento verso gli altri e la natura;

Niyama, il comportamento verso noi stessi;

Asana: la corretta posizione, comoda e immobile;

Pranayama: il controllo del prana, le sottili correnti vitali del corpo, inteso anche come controllo sull’attività respiratoria;

Pratyahara: l’interiorizzazione della coscienza, che si ottiene ritirando i sensi dagli oggetti esterni.

Dharana: la concentrazione, ovvero la fissità della mente su un unico oggetto, respiro o sensazioni;  

Dhyana: la meditazione, l’essere assorti in essa completamente, la mente scorre in unica direzione senza sforzo.

Samadhi: l’esperienza supercosciente, il riconoscimento dell’anima individuale e  dello Spirito Cosmico.

Nello Samadhi vediamo come Patanjali attinge dai concetti del sāṃkhyā citato nella scorsa puntata; l’esperienza super cosciente è tra prakṛti (la natura, la materia, noi) e puruṣa (la coscienza eterna, lo spirito primordiale).

Di Seguito viene introdotto il Kriyā Yoga, metodo che favorisce la via agli otto Passi composto da tecniche di purificazione che facilitano il superamento delle afflizioni mentali (kleśa).

Patañjali definisce il Kriyā Yoga come quell’aspetto dello Yoga che favorisce la via verso il samādhi, cioè verso il cammino descritto negli otto stadi dello Aṣṭāṅga Yoga.

Infine vengono esposti i “poteri” (Siddhi in sanscrito).

Tali poteri, chiarisce Patanjali, non devono però distogliere lo yogin dalla realizzazione, dalla meta finale, che resta sempre quella della liberazione (mokṣa) dal ciclo delle rinascite (saṃsāra).

È importante osservare il significato di Dio (Īśvara) all’interno degli Yogasutra; questa figura per patanjali è decisamente secondaria, come lui stesso descrive non è un Dio creatore, giudice o in alcun modo di aiuto per lo yogin, ma anzi un archetipo di yogin perfetto, un maestro ideale, o un puruṣa che è sempre stato libero, come viene descritto dal filosofo Vyāsa, uno dei principali commentatori dei yogasutra.

In seguito altri commentatori daranno invece un significato più devozionale (bhakti) alla figura di Dio, allontanandosi così da quello che è il concetto originale espresso da Patanjali nei confronti di Īśvara.

Lo yoga illustrato da patanjali prende il nome di raja yoga, dal sanscrito, lo yoga Regale.

Inoltre gli yogasutra permettono allo Yoga di divenire una dottrina riconosciuta all’interno del sistema religioso/spirituale indiano. Rientra così tra le 6 darśana, le scuole di pensiero ortodosse dell’induismo.

Così il Raja Yoga di Patanjali diviene un tassello fondamentale nella storia dello Yoga, gli Aforismi sono ancora oggi materia di studio, sia per novelli insegnanti sia per studiosi accademici. 

Nel prossimo articolo vedremo l’evoluzione dello Yoga attraverso il tantra, a partire dalla seconda metà del primo millennio d.C,

 per oggi la puntata finisce qui.

Grazie per la lettura.

Diego

 

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